PER UN'ECOLOGIA NON ANTROPOCENTRICA. DIALOGO CON GUIDO DALLA CASA

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Proponiamo un dialogo avuto con Guido Dalla Casa, studioso di filosofia dell’ecologia e di filosofie orientali e native. Ha pubblicato vari libri e molti articoli riguardanti tematiche ecologiche.

GIULIO SAPORI: Lei ha pubblicato un libro dal titolo Ecologia profonda. Lineamenti per una nuova visione del mondo (ora edito da Mimesis); ci potrebbe sintetizzare cosa intende per ecologia profonda e cosa per ecologia di superficie?

GUIDO DALLA CASA: L’ecologia di superficie è quell’ecologia di cui si parla comunemente e che consiste nel continuare come si è fatto finora, con qualche ritocco tipo riciclo dei rifiuti, cambiamento delle fonti energetiche, domeniche senza auto, ecc..
In quest’ottica non si cambiano le idee fondamentali, nel senso che l’uomo è ancora staccato dalla natura e la domina, deve solo stare attento per non rovinare se stesso. Qui l’uomo non arriva mai a pensarsi come un essere senziente al pari degli altri, che vive con gli stessi cicli vitali degli altri mammiferi. Se guardiamo al genoma, la differenza tra noi e uno scimpanzé è dell’1% o poco più. E qui la scienza ufficiale, quella meccanicista, va contro le sue stesse conoscenze: sa benissimo che l’uomo è un animale come gli altri, ma continua a praticarne il primato.
L’ecologia di superficie non ammette l’abbandono dell’antropocentrismo. L’ecologia profonda, invece, mette al centro tutto l’Ecosistema, per cui il primo valore è il benessere dell’ecosfera e, di conseguenza, di tutti gli esseri senzienti. Secondo l’ecologia profonda noi siamo concepiti in un organismo come se fossimo delle cellule legate alle altre, e non come gestori di qualcosa; l’uomo è un animale, deve rendersene conto e vivere con questo valore: il benessere dell’organismo totale.

G.S.: Possiamo dire che l’ecologia di superficie accetta ancora il primato dell’economia perché è interessata solamente a gestire le ‘risorse’ (bruttissima parola)?

G.D.C.: Sì, l’ecologia di superficie non intacca i fondamenti della civiltà occidentale, diversamente dall’ecologia profonda. Per quest’ultima l’Occidente è una cultura che si sta comportando come un cancro: si espande “divorando” le altre cellule.

G.S.: La metafora del cancro è molto forte. L’aggravante, a mio parere, è che le cellule del cancro non hanno una libertà di comportamento: si comportano così, crescendo fuori misura, perché ricevono questa informazione o, meglio, perché non ricevono l’informazione necessaria a fermare la crescita. Noi, al contrario, abbiamo un’ideologia, quella della crescita illimitata, che ci guida. Questo significa che, cambiando ideologia, possiamo cambiare comportamenti. L’informazione di fermare la crescita viene data, anche se è poco ascoltata. Abbiamo, cioè, un margine di libertà.

G.D.C.: Sì, lo abbiamo, nel senso che ciò che conduce ai disastri non è l’uomo in generale o la cultura in generale ma un certo tipo di cultura.
Nel mondo ci sono state 5000 culture di cui ben poche avevano questi guai. Alcune culture, diverse dalla nostra, sono riconducibili all’ecologia profonda: ad esempio uno sciamano siberiano (o di altra cultura animista) aveva un sottofondo di pensiero e di comportamento che potremmo etichettare come di ecologia profonda, anche se con modalità diverse da quelle “rinate” recentemente in Occidente.

G.S.: Da quanto capisco, esiste anche una differenza sul piano concettuale. L’ecologia profonda non è tanto un insieme di concetti, un sistema di idee ma, più che altro, un sentimento, un sentirsi intimamente parte del tutto. L’ecologia profonda non ipostatizza la natura, non la riduce a concetto. Ritiene che il sentire sia più originario del pensare e, per questo, è difficile definirla: è una pratica e non solo un sistema concettuale di pensiero.

G.D.C.: Per gli sciamani il mondo stesso è spirito e la mente è immanente al tutto, non astratta. Questo, tra l’altro, è uno dei fattori che gioca contro l’ecologia profonda nel mondo di oggi, poiché il sentimento di immanenza è osteggiato dalle istituzioni delle tre grandi religioni monoteiste: se il Dio non è più trascendente, la loro mediazione non serve più.

G.S.: La natura ha acquisito un’importanza concettuale nel momento in cui perdeva spazio nella vita degli uomini. Mi viene in mente Henry Thoreau che, proprio contro la nascente civiltà industriale, riscopre la natura, vivendo dei periodi della sua vita nella casa di legno, costruita davanti al lago Walden.

G.D.C.: Sì, in Thoreau c’è questa idea di critica alla civiltà industriale.
Se c’è qualche sottofondo di pensiero ancora più estremo dell’ecologia profonda, è la critica della civiltà, quella che in Italia è portata avanti da Manicardi e negli U.S.A. da Zerzan. Una critica di questo tipo è utile alla filosofia, ma non viene molto considerata. Se non cambiamo la nostra impostazione fondamentale, la vedo molto brutta perché oggi abbiamo i numeri contro di noi: pensiamo anche solo al fatto che all’epoca dei Romani la popolazione mondiale era di circa 300 milioni di persone, oggi siamo oltre 7 miliardi: sono cifre assolutamente al di fuori di ogni capacità di controllo.

G.S.: Della bomba demografica non si parla quasi mai… Qui mi aggancio ad un’altra domanda che volevo farle, ovvero quali ritiene siano i principali  problemi della società attuale.

G.D.C.: Il problema più grosso è che la società attuale vive sulla crescita dell’economia, che distrugge l’organismo stesso che la sostiene, essendo convinta di vivere in una realtà a parte. Il problema è questo sentimento di distacco dal resto del mondo della vita, un sottofondo che ha origini giudaico-cristiane, presente anche nei sedicenti atei, e che porta a comportarsi come fossimo diversi da tutti gli altri viventi, non accettando il fatto che siamo fatti come gli altri animali.

G.S.: Cerchiamo sempre qualcosa per tradurre la nostra diversità in superiorità. Per esempio, nel campo scientifico, va molto l’idea che la nostra coscienza non sia solo diversa dalle altre, ma sia superiore alle altre.

G.D.C.: Una cosa che ho notato nel corso degli anni è che gli unici che ascoltano il dibattito di cui mi interesso sono gli animalisti, Marchesini e gli altri, quelli che si occupano di mente animale. ‘Figli’ di Konrad Lorenz, il quale diceva che chiunque viva con un cane e non si rende conto che ha le stesse emozioni dell’uomo, è un minorato mentale.

G.S.: Quindi il problema fondamentale è questo distacco, il sentirsi separati, anche da noi stessi, secondo i vari dualismi anima-corpo, coscienza-corpo, soggetto-oggetto…

G.D.C.: Proprio questo. Occorre iniziare a guardare il mondo dalla parte dell’organismo complessivo, e non degli individui singoli. Gli organismi, anche collettivi, vivono in situazioni di equilibrio dinamico, non costanti ma stazionarie. Un esempio può essere il rapporto tra carnivori ed erbivori: nella savana è risaputo che c’è un leone ogni mille gazzelle… invece noi vogliamo essere carnivori in più di 7 miliardi.
 

G.S.: A tal proposito, qual è la sua posizione sul consumo di carne?

G.D.C.: Oggi ancora si pensa che mangiare carne sia un segno di superiorità e ricchezza e, ovviamente, di virilità. Ma pensiamo ai bonobo e ai gorilla, animali più simili a noi: non mangiano quasi per niente la carne  (solo qualche larva di insetti, o poco più) eppure stanno bene così, spesso sono anche più forti di noi.

G.S.: Passiamo ad un’altra domanda, questa volta concernente la politica ambientale: cosa pensa dell’attuale situazione mondiale?

G.D.C.: Pessima. Hanno fatto l’anno scorso la riunione di Parigi sui cambiamenti climatici, la COP21, ma l’accordo stilato riguarda il non superamento di 2°C, che sono già troppi: nessuno ha detto che bisogna smettere immediatamente di scaricare nell’atmosfera la CO2 che ci gettiamo ogni giorno! Questa prescrizione sarebbe stata ben più chiara e applicabile, dato anche che il legame quantitativo fra emissioni e temperatura media non è ben controllabile e che c’è un’inerzia temporale notevole fra emissioni e temperatura. Perciò l’accordo è difficilmente applicabile e controllabile.

G.S.: Questo è ci riporta all’indiscusso primato dell’economia: se qualcosa non è economicamente appetibile, non lo si considera…

G.D.C.: Sì, proprio così. Il suo primato e la sete di crescita bloccano qualsiasi possibilità. Ma la crescita non è altro che divorare la terra: la parte inerte che divora la parte vivente di questo Pianeta. Lo sviluppo è questo.
Tuttavia ciò non può durare a lungo. Sono in pochi ad ascoltare questi segnali. Ma come può andare avanti all’infinito questa crescita in un Pianeta finito? La sorpresa potrebbe essere soltanto un cambiamento filosofico di fondo.

G.S.: Uno sguardo sulla totalità, andando oltre la scienza specialistica, la “barbarie dello specialismo”, per dirla con José Ortega y Gasset. Quale rapporto esiste fra scienza ed ecologia profonda?

G.D.C.: È un rapporto che mi ha deluso perché nell’ambiente della scienza più ristretta non viene ascoltato. Si rifiutano. Un amico mi ha detto che c’è molta omertà anche in ambito accademico: spesso i suoi colleghi non prendono una posizione forte perché non vogliono rischiare di finire in fondo ad un corridoio.

G.S.: Questo credo sia connesso anche al legame problematico fra scienza e capitalismo, per cui le ricerche vengono sostenute solo laddove possono portare qualcosa in cambio all’investitore.

G.D.C.: Nessuno ti finanzierà mai una ricerca senza dirti anche che cosa ne deve risultare! Se uno esce dallo schema rischia di perdere il posto.
Anche la divulgazione scientifica (i vari Piero Angela…) è totalmente asservita alle verità conformi allo statu quo, al meccanicismo.

G.S.: Tutto il culto per la Ricerca con la r maiuscola vista come risolutiva di tutti quei problemi che la stessa ricerca ha, spesso, causato…

G.D.C.: Pensiamo a tutto il programma per andare su Marte. Invece di pensare come vivere in questo mondo senza degradarlo ulteriormente, pensiamo di fare missioni costosissime (non solo di denaro) per visitare altri pianeti.

G.S.: Il Progresso! L’ideologia più potente, propria della stessa scienza: pensare, fideisticamente, che il futuro sarà risolutivo delle questioni del presente. Il bene e il male si riducono a dare sostegno o meno a questo Progresso. Quello che stiamo perdendo nel presente non ha importanza perché tutto potrà essere ricreato con le conoscenze tecniche che avremo. Una vera, nefasta, fede.

G.D.C.: Oltretutto, c’è l’idea assurda che siano la competizione e la lotta le molle del Progresso. Un’idea che è molto diffusa anche nei discorsi scientifici, in un certo darwinismo, dove si pensa l’evoluzione come miglioramento, e non come semplice adattamento. Dico di più, nel mondo “ufficiale” l’importanza di Darwin è legata, per buona parte, al suo mettere in primo piano la lotta competitiva tra gli individui e tra le specie. Un discorso molto consonante con quello del liberismo del suo tempo.

G.S.: Infatti, alcuni scienziati come Pëtr Kropotkin, criticarono questa impostazione poiché troppo legata all’ideale competitivo borghese. E, invece, cosa ne pensa di papa Francesco, della sua enciclica?

G.D.C.: L’enciclica Laudato si’ ha dei bei concetti, attenua un po’ l’antropocentrismo, ma condanna il biocentrismo e ribadisce ancora una volta la condanna ad ogni controllo delle nascite. La novità è, fondamentalmente, il ridimensionamento dell’antropocentrismo ma poi, nella pratica di vita, si vedono ben pochi segni di questo ridimensionamento.
Il papa parla molto dei migranti. Pochissimi affrontano questo problema tenendo presente la crescita della popolazione nel continente africano: nei primi del ‘900 era di 133 milioni di abitanti, ora ha raggiunto 1,21 miliardi. Questo significa che è decuplicata in un tempo brevissimo. E continua a crescere.
Quando riconosceremo questo problema?

G.S.: Quando inizieremo a comprenderci come parte di un ecosistema…

G.D.C.: Esattamente. Ma ci riusciremo?

6 commenti:

  1. Bellissimo dialogo. Grazie per averlo pubblicato.
    Gianni Tiziano

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  2. Si trova il libro? Il tema e' centrale per la salvezza del pianeta. Non e' ecologia del profondo. E' ecologia e basta, quella vera

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    1. L'ecologia profonda. Lineamenti per una nuova visione del mondo è stato riedito dalla Mimesis nel 2011: si trova facilmente. Concordo: l’unica ecologia è ‘profonda’ poiché non antropocentrica.

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  3. ... anche Lorenz ha i suoi scheletri (prima pesanti, poi 'serventi' i miti dominanti, v. ad es. Schmidbauer 'Uomo e natura, anti-Lorenz', Hamburg '73, ed Laterza '78; la filosofia serve tanto quanto sa vedere, concettare e diVulgarsi; senza i Zerzan non avremmo i 'seguaci', come Manicardi, ne i GDC troverebbero spazio, se non privato...; Privato che però è il centro concreto del discorso:
    il pensiero non basta, solo il ricrearSi effettivo dell'ancestrale Convivenza, in reti-di-reti relazionali solidali (di dimensioni roussoniane), per quanto possibile -via via- sganciate dal mercato e... capaci di difendersi l'un l'altra dagli inevitabili sgambetti legal/repressivi ecc., solo questo può rendere possibile un atTERRAggio, di fortuna! Difficile? ... - intanto gli anziani muoiono abbandonati da Oslo a Padova (che ha già +50% di famiglie formate da una sola persona)- SI e non sarebbe che l'inizio: se il sistema si fermasse adesso (e batsta smettere di comprare e produrre e comprare e )resterebbero tutti i guai già fuori controllo da un pezzo. MA NON C'E' alternativa: o, semplicissimamente, re-impariamo ad aiutarci l'un l'altro o...

    BUON ANNO, QUELLO 'NUOVO' e TUTTI QUELLI A VENIRE!

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  4. Trovo interessante un collegamento tra il testo di Jonas sulla responsabilità verso le generazioni future e l'atteggimento antispecista. E' pur vero che la prospettiva di Jonas è ancora declinata in senso antropocentrico, tuttavia mi viene in mente che il superamento dello specismo ( con la rivoluzione culturale che esso comporta) chiede all'uomo di riorientarsi. Infatti nel riconoscere i diritti degli animali non ci poniamo più al centro dello spazio e del tempo. Ed è proprio questo cambiamento di prospettiva che potrà salvare il nostro mondo e tutti i suoi abitanti. Gli animali( come la famosa gatta di Montaigne) ci possono far cambiare prospettiva, ci possono indicare la strada corretta per diventare, da predatori, abitanti del mondo.

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